
L’ufficiale rubierese — che nel 2003 aveva già comandanto con successo la missione italiana a Kabul — è il primo generale italiano a ricevere un incarico di tale responsabilità. Si tratta del coronamento di una carriera eccezionale. Figlio di uno dei pochi superstiti di El Alamein (quelli che lo stesso nemico, Winston Churchill, definì «i leoni della Folgore»), paracadutista come il fratello Paolo (pure nella Folgore) e come Giovanni (istruttore sportivo), Bertolini è cresciuto tra gli incursori del IX Col Moschin, fino a diventare comandante di questo reparto d’elite.
Con ruoli operativi ha partecipato a quasi tutte le missioni all’estero, meritandosi croci di guerra e riconoscimenti non solo dall’Esercito italiano. In Libano — 1982, prima missione italiana dalla fine del conflitto mondiale — rimase lievemente ferito durante un’azione di controinterdizione. In Somalia guidò un’azione che permise di salvare dall’annientamento i caschi blu del Pakistan (che contarono 24 morti). L’ufficiale paracadutista aveva assunto, di recente, il ruolo di comandante di quelle che una volta erano le Fir, le cosiddette forze di intervento rapido. Ora il ritorno in azione nella missione che — a detta del capo di Stato maggiore dell’Esercito, Fabrizio Castagnetti — «è la più rischiosa, la più complessa e quella che durerà più a lungo».