Cari amici, come fare a descrivere in sole poche righe, la visita guidata alla Collezione Maramotti, che, su iniziativa del nostro caro Presidente e dell'amico Giovanni Fracasso si è svolta giovedì 24 maggio u.s., alla presenza di un numero consistente di soci e di tanti graditi ospiti??!
Anzitutto, non ho certo la competenza per illustrarvi le singole opere..ma per questa parte, vi rimando alle parole del nostro critico d'arte Emanuele che, se interrogato, dall'alto della sua enorme cultura artistica (quella che a me manca) sarà ben lieto di fornirvi lumi sul punto.
A me interessa, come sempre, focalizzare l'attenzione sull'aspetto umano, sulle emozioni provate, sugli scambi di battute, sul rafforzamento di conoscenze ed amicizie.
Era da parecchio tempo che mi proponevo di recarmi a visitare detta Collezione e, più di una volta, mi ero iscritta, ma, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, fatti impeditivi nel frattempo sopravvenuti, mi avevano sempre costretta a rinunciarvi, tanto da rappresentare per me, il riuscire ad andare, quasi una questione “scaramantica”.
E pensare che di tempo da quando la Collezione Maramotti è stata aperta al pubblico ne è passato parecchio, dovendosi parlare del lontano settembre 2007! Per fortuna che è intervenuto il Rotary ad offrirmi l'opportunità di colmare questo mio “buco” - per non dire “voragine” - conoscitivo, facendomi uscire da quello stabilimento sicuramente più arricchita, sia sotto il profilo culturale, che umano.
Penso che voi tutti sappiate – anche chi non ha preso parte all'iniziativa organizzata dal nostro Club – che detta Collezione è situata presso l'originario stabilimento della casa di moda Max Mara.
Ciò premesso, avendo già avuto un approccio diretto col posto, mi è balzato immediatamente all'occhio che l'essenzialità della costruzione, la flessibilità e la versatilità della struttura, la forte relazione tra spazi interni ed esterni, le grandi vetrate, di certo volute per valorizzare la luce naturale, sono rimasti immutati, per quanto diverse modifiche siano intervenute. Quindi, maggiore modernità nella struttura dell'immobile, ma intenzione del progettista di non cambiarne gli effetti sostanziali.
Ho imparato, grazie alla descrizione della sapiente guida, che la Collezione è costituita da centinaia di opere realizzate dal 1945 ad oggi, di cui oltre 200 in esposizione permanente, che rappresentano alcune delle principali tendenze artistiche italiane ed internazionali degli ultimi cinquant'anni.
L'allestimento è minimalista e si snoda su due piani, divisi in tante sale, dedicate ad opere informali, alla pop-art, ad opere di Arte Povera, ad opere del neo-espressionismo italiano (Transavanguardia), oltre ad esempi di quello tedesco ed americano. Fa seguito un nucleo di lavori della New Geometry americana degli anni Ottanta-Novanta, ai quali succedono le più recenti sperimentazioni inglesi ed americane.
Di più, per quanto riguarda l'arte..non saprei dire. E forse, nel dire, sono già stata imprecisa (anche se, devo ammetterlo, questa parte l'ho un po' scopiazzata). Giusto Filo, Giusto Enrico?
Posso aggiungere le frasi, le battute scambiate con gli amici, così come preannunciavo all'inizio.
Davanti ad alcune opere di quella che viene definita arte povera (tanto per farvi un esempio: un cumulo di sacchi di iuta con una barchetta in cima), ho avuto l'ardire di rivolgermi a Filini dicendo “Io questo genere d'arte non la capisco” e Filo mi ha risposto, rimproverandomi “Perchè non sei attenta, sei distratta, non stai seguendo le parole della guida che, in modo esemplare e preciso, ti sta fornendo spiegazione del motivo che ha spinto l'artista a fare quell'opera”; “di cosa si cela dietro ad un'idea, un pensiero” ed io, peggiorando il livello del dialogo, per mia colpa già abbastanza compromesso gli ho risposto, da vera ignorante ed anche un po' presuntuosa “Ma io riesco a seguire ciò che dice la guida solo se un'opera mi piace sin da subito (quale, ad esempio, il murale di Mimmo Paldino, con cui si apre il percorso) se no, nessuno potrà convincermi del contrario”.
Abbiamo camminato tanto, visto tante cose, imparato molto. Anche Sandro Lasagni non si è fermato un secondo e, ciondolando la testa, insieme a Grazia, da un lato si mostrava fiero di avere un figlio che tanto ha pubblicato su quegli immensi spazi e sulle opere ivi esposte, dall'altro, manifestava la sua lontananza, in termini di comprensione concettuale, all'arte contemporanea più estrosa. E in ciò non posso biasimarlo, trovandomi con lui ed il suo pensiero perfettamente allineata.
Che dire poi quando ci siamo fermati io, Massimo e Luca davanti ad un'opera con raffigurato un volto umano ripreso da telecamera (almeno credo), con le sembianze di una donna molto mascolina che cambiava continuamente l'espressione del volto, passando dalla disperazione, alla gioia, alla riflessione e seguendoci sempre e comunque, con lo sguardo, in qualsiasi posto ci collocassimo; il chè – devo ammetterlo – rendeva la cosa anche un po’ inquietante. Io vi ho interpretato la personificazione del destino che, bello o brutto che sia, non ti abbandona un attimo, ti sta sempre addosso, nella scansione dei vari passaggi della vita. Ma?!! Cosa sto dicendo? Ormai tutti eravamo lanciati in elucubrazioni ed interpretazioni libere.
Sì, perchè questo ho imparato che dell'arte contemporanea: si può dire tutto e il contrario di tutto e nessuno avrà mai qualcosa da contestarti. L'unica frase che conviene non pronunciare mai, almeno davanti ad un esperto, è “Io quest'arte non la capisco”, perchè in quel momento stai certo che l'esperto si arrabbierà, facendoti presente che non può esistere un'arte che si comprende e un'altra che non si comprende. E' una questione di conoscenza, che va coltivata e di sensibilità che va affina con la conoscenza. Fatto salvo sempre e comunque il beneficio del gusto personale.
Al termine della mostra, unica, bellissima, davvero interessante, scambiandoci idee, opinioni..ridendo scherzando l'un con l'altro, esausti ma felici, ci siamo “appollaiati” sulle poltrone bianche dell'ingresso, gustandoci il buffet fatto allestire in loco ed, al termine, abbiamo ascoltato il discorso della sig.ra Marina Dacci, curatrice della Collezione Maramotti, e poi di Enrico.
Io Enrico lo conosco bene e, dal mio punto di vista, questo è stato il più bel discorso che abbia fatto dall'inizio dell'anno, perchè, più di ogni altro, conteneva parole intrise di passione (per l'arte), di gioia nel vedere tanta gente, tra cui la sua piccola nipotina, partecipare ad un evento voluto ed allestito con tanta cura e così magicamente riuscito.
Tanto che tutti ci siamo salutati con un sorriso sulle labbra.
Grazie Enrico

A me interessa, come sempre, focalizzare l'attenzione sull'aspetto umano, sulle emozioni provate, sugli scambi di battute, sul rafforzamento di conoscenze ed amicizie.
Era da parecchio tempo che mi proponevo di recarmi a visitare detta Collezione e, più di una volta, mi ero iscritta, ma, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, fatti impeditivi nel frattempo sopravvenuti, mi avevano sempre costretta a rinunciarvi, tanto da rappresentare per me, il riuscire ad andare, quasi una questione “scaramantica”.
E pensare che di tempo da quando la Collezione Maramotti è stata aperta al pubblico ne è passato parecchio, dovendosi parlare del lontano settembre 2007! Per fortuna che è intervenuto il Rotary ad offrirmi l'opportunità di colmare questo mio “buco” - per non dire “voragine” - conoscitivo, facendomi uscire da quello stabilimento sicuramente più arricchita, sia sotto il profilo culturale, che umano.
Penso che voi tutti sappiate – anche chi non ha preso parte all'iniziativa organizzata dal nostro Club – che detta Collezione è situata presso l'originario stabilimento della casa di moda Max Mara.
Ciò premesso, avendo già avuto un approccio diretto col posto, mi è balzato immediatamente all'occhio che l'essenzialità della costruzione, la flessibilità e la versatilità della struttura, la forte relazione tra spazi interni ed esterni, le grandi vetrate, di certo volute per valorizzare la luce naturale, sono rimasti immutati, per quanto diverse modifiche siano intervenute. Quindi, maggiore modernità nella struttura dell'immobile, ma intenzione del progettista di non cambiarne gli effetti sostanziali.
Ho imparato, grazie alla descrizione della sapiente guida, che la Collezione è costituita da centinaia di opere realizzate dal 1945 ad oggi, di cui oltre 200 in esposizione permanente, che rappresentano alcune delle principali tendenze artistiche italiane ed internazionali degli ultimi cinquant'anni.
L'allestimento è minimalista e si snoda su due piani, divisi in tante sale, dedicate ad opere informali, alla pop-art, ad opere di Arte Povera, ad opere del neo-espressionismo italiano (Transavanguardia), oltre ad esempi di quello tedesco ed americano. Fa seguito un nucleo di lavori della New Geometry americana degli anni Ottanta-Novanta, ai quali succedono le più recenti sperimentazioni inglesi ed americane.
Di più, per quanto riguarda l'arte..non saprei dire. E forse, nel dire, sono già stata imprecisa (anche se, devo ammetterlo, questa parte l'ho un po' scopiazzata). Giusto Filo, Giusto Enrico?
Posso aggiungere le frasi, le battute scambiate con gli amici, così come preannunciavo all'inizio.
Davanti ad alcune opere di quella che viene definita arte povera (tanto per farvi un esempio: un cumulo di sacchi di iuta con una barchetta in cima), ho avuto l'ardire di rivolgermi a Filini dicendo “Io questo genere d'arte non la capisco” e Filo mi ha risposto, rimproverandomi “Perchè non sei attenta, sei distratta, non stai seguendo le parole della guida che, in modo esemplare e preciso, ti sta fornendo spiegazione del motivo che ha spinto l'artista a fare quell'opera”; “di cosa si cela dietro ad un'idea, un pensiero” ed io, peggiorando il livello del dialogo, per mia colpa già abbastanza compromesso gli ho risposto, da vera ignorante ed anche un po' presuntuosa “Ma io riesco a seguire ciò che dice la guida solo se un'opera mi piace sin da subito (quale, ad esempio, il murale di Mimmo Paldino, con cui si apre il percorso) se no, nessuno potrà convincermi del contrario”.

Che dire poi quando ci siamo fermati io, Massimo e Luca davanti ad un'opera con raffigurato un volto umano ripreso da telecamera (almeno credo), con le sembianze di una donna molto mascolina che cambiava continuamente l'espressione del volto, passando dalla disperazione, alla gioia, alla riflessione e seguendoci sempre e comunque, con lo sguardo, in qualsiasi posto ci collocassimo; il chè – devo ammetterlo – rendeva la cosa anche un po’ inquietante. Io vi ho interpretato la personificazione del destino che, bello o brutto che sia, non ti abbandona un attimo, ti sta sempre addosso, nella scansione dei vari passaggi della vita. Ma?!! Cosa sto dicendo? Ormai tutti eravamo lanciati in elucubrazioni ed interpretazioni libere.
Sì, perchè questo ho imparato che dell'arte contemporanea: si può dire tutto e il contrario di tutto e nessuno avrà mai qualcosa da contestarti. L'unica frase che conviene non pronunciare mai, almeno davanti ad un esperto, è “Io quest'arte non la capisco”, perchè in quel momento stai certo che l'esperto si arrabbierà, facendoti presente che non può esistere un'arte che si comprende e un'altra che non si comprende. E' una questione di conoscenza, che va coltivata e di sensibilità che va affina con la conoscenza. Fatto salvo sempre e comunque il beneficio del gusto personale.
Al termine della mostra, unica, bellissima, davvero interessante, scambiandoci idee, opinioni..ridendo scherzando l'un con l'altro, esausti ma felici, ci siamo “appollaiati” sulle poltrone bianche dell'ingresso, gustandoci il buffet fatto allestire in loco ed, al termine, abbiamo ascoltato il discorso della sig.ra Marina Dacci, curatrice della Collezione Maramotti, e poi di Enrico.
Io Enrico lo conosco bene e, dal mio punto di vista, questo è stato il più bel discorso che abbia fatto dall'inizio dell'anno, perchè, più di ogni altro, conteneva parole intrise di passione (per l'arte), di gioia nel vedere tanta gente, tra cui la sua piccola nipotina, partecipare ad un evento voluto ed allestito con tanta cura e così magicamente riuscito.
Tanto che tutti ci siamo salutati con un sorriso sulle labbra.
Grazie Enrico